Mi appoggio con la schiena alla vetrata del bar. Tiro fuori una sigaretta dal pacchetto schiacciato, me la metto tra le labbra, me l’accendo, me

Mi appoggio con la schiena alla vetrata del bar. Tiro fuori una sigaretta dal pacchetto schiacciato, me la metto tra le labbra, me l’accendo, me
Me lo sento vicino, come se fosse a pochi centimetri da me, come se mi stesse sfiorando senza mai toccarmi, come un’onda che procede ma non s’increspa mai.
E capirebbe subito che nel mio tentativo di fuga c’è tutto il mio desiderio di restare a guardarla.
E capirebbe subito di essere la direzione dei miei occhi.
Mi giro velocemente verso il citofono, lo fisso supplicandolo di smettere, supplicandolo di esplodere, poi sollevo, rispondo: «chi è?»
«Sono io».
Lui non sa che lei, su quel tapis roulant, cammina guardando avanti attraverso la vetrata che dà sul parcheggio con la sbarra, due o tre volte a settimana, e spera sempre di voltarsi ad un certo punto. Spera sempre che lui arrivi, per fare due passi stando fermi insieme.
Loro non esistevano.
Loro consistevano, coesistevano.
E come qualunque altra cosa, scomparvero.