Alla fine è successo.
Me lo ero immaginato per mesi e alla fine è successo.
Ci avevo pensato a lungo a come sarebbero andate le cose, a quali sarebbero state le conseguenze. Avevo cercato in tutti i modi di mettermi avanti per non arrivare impreparato.
Ma a forza di aspettare il momento giusto, procrastinando la resa dei conti, sono stato sorpreso da un momento qualsiasi e tutto è andato in maniera molto diversa da come avrei voluto.
È così che funziona: quando ti porti dentro per molto tempo una sensazione, nella speranza che esistano davvero un giorno e un momento esatti per affrontarla, poi la realtà interviene per ricordarti che gli attimi più decisivi della tua vita si giocano in campo neutro, né in casa né in trasferta, in una sorta di spazio improvvisato privo di qualsiasi comfort.
Non puoi programmare una voragine che sai per certo t’ingoierà o un avvenimento che ti farà tornare a vivere come se stessi programmando una gita domenicale al mare.
Certe scelte non si prendono, ma si arriva a prenderle. Non è uguale.
Ci si trova d’un tratto nella condizione di non potersi più voltare dall’altra parte fingendo vada tutto bene. E a quel punto non ti rimane altra scelta che scegliere. Non puoi più rimandare l’appuntamento con la verità.
Mi sarebbe piaciuto arrivarci organizzato a quel giorno in cui non mi è rimasta altra scelta che scegliere, all’appuntamento con la verità che tenevo piantata tra lo stomaco e la gola con grandissima cura da più di un anno, per non dire da sempre.
Lo direi, ma non so quando cominci di preciso, questo famoso «sempre» di cui tanto si parla, ma forse la sapevo da sempre.
Forse la verità la sapevo già da prima di saperla, già da prima che si trasformasse in una bugia vera.
Mi sarebbe piaciuto arrivarci con l’umore più adatto a rinunciare, che mi ero immaginato essere simile a quello che hai quando prepari le valigie per trasferirti altrove lasciandoti alle spalle un passato che ti tormenta: un misto di angoscia e commozione.
Ma i momenti decisivi non si possono organizzare, appunto, e questa cosa credo di averla capita molto bene e soprattutto per la prima volta, quella mattina in cui alla fine è successo.
Credevo davvero che avrei potuto arrivarci pronto.
Credevo davvero che una delle tante situazioni alternative che mi ero costruito in testa, almeno una di quelle o qualcosa di simile, si sarebbe verificata. Mi sembravano realistiche.
E invece non ci ero andato neanche lontanamente vicino.
Niente è andato come mi aspettavo, né durante né dopo.
Né mentre la sensazione che mi ero portato dietro per molto tempo veniva una volta per tutte a galla in malo modo, producendo delle reazioni piuttosto brusche; né dopo, quando ormai era tutto successo e c’era soltanto da gestire le conseguenze, limitando i danni.
Mesi e mesi di pianificazione dell’istante per poi esserne travolti.
È stato un po’ come prepararsi il discorso, parola per parola, frase per frase, motivo per motivo, causa per causa, e poi ritrovarsi a improvvisare in balia delle proprie emozioni.
In fondo è quello che succede sempre anche nei film, quindi avrei dovuto aspettarmelo.
Avrei dovuto aspettarmelo che la distanza tra quello che crei nella tua testa e quello che capita nella realtà il più delle volte è insormontabile.
Eppure, per quanto possa sembrare una di quelle cose che tutti dovremmo sapere, io ho scoperto che non lo sapevo, o forse che non lo sapevo quanto basta.
Non sapevo che a forza di rimandare e rimandare, in attesa di sentirti veramente pronto per fare quello che c’è da fare, non fai altro che aumentare esponenzialmente le possibilità di essere colto alla sprovvista, perché il momento arriva quando arriva, non sta certo ad aspettare i tuoi comodi.
Sono stato fregato dalla mia paura di rimanere fregato.
Ci credevo davvero che sarei riuscito a mettere in pratica una strategia.
Quanta fiducia insensata che riponiamo nelle strategie, diamo loro troppa importanza.
È proprio l’idea di dover sempre avere una strategia per non ritrovarsi fregati, a fregarci.
È proprio questo che ci spinge a rimanere dove siamo, anche se dove siamo, in effetti siamo già fregati. Ma l’abitudine rende la fregatura meno fastidiosa e molto più sopportabile.
È molto facile abituarsi a stare male e costruire una strategia per uscirne è la miglior strategia per rimanerci incastrati dentro ancora di più. Quindi, in definitiva, è una pessima strategia.
Ho scoperto che non c’è strategia che regga quando si tratta di affrontare una verità che ti porti dietro da tempo, perché sei tu la prima persona a cui l’hai tenuta nascosta e sei sempre tu la prima persona che farà di tutto pur di continuare a nasconderla.
Non c’è un modo, c’è soltanto il giorno in cui ti svegli pensando che tutto andrà come è sempre andato, con la tua bugia vera a cui ti sei abituato e poi invece tutto precipita in un istante.
La verità sgorga fuori a sorpresa. Il mondo viene stravolto. E tu con lui.
Nel giro di pochi secondi, niente è più com’era prima.
Il giorno in cui alla fine è successo è stato un giorno complicato.
Uno di quei giorni che non ti scordi ma contemporaneamente sì, perché le emozioni che provi sono talmente violente da sovrastare le immagini, e memorizzi soprattutto quelle.
Non sarei mai capace di ricomporre con esattezza quello che ci siamo detti, però mi ricordo il punto preciso in cui tutto è degenerato, la frase che ha provocato la crepa nel ghiacciaio.
«Tu non sei alla mia altezza»
C’è sempre una frase decisiva. La cosiddetta goccia che fa traboccare il vaso.
Sono arrivato alla conclusione che più la verità tenuta nascosta è grande, più è piccola la motivazione che la porta a sprigionarsi.
Basta davvero niente per rovinare tutto.
Basta davvero un attimo del presente per far sprofondare anni di passato.
Non c’è nessuna proporzionalità tra causa e conseguenze, il più delle volte.
Le conseguenze diventano estreme con una rapidità impressionante.
Si inizia discutendo come al solito, poi qualcuno tira fuori un argomento, una parola o una frase, che tocca un nervo scoperto e che sancisce l’inizio della escalation.
E in un istante, tutto affonda.
La verità che tenevi conficcata dentro ti percorre gli organi lanciandosi senza nessuna precauzione sulla rampa delle emozioni ed eccola, fuori dalla tua bocca, fuori dal tuo corpo. Fuori, nell’aria, laddove chiunque può appropriarsene.
Il giorno in cui alla fine è successo forse non era un giorno come tutti gli altri.
Forse mi ero svegliato male e non me ne ero neanche accorto. E come avrei fatto?
Di sicuro non avevo voglia di cominciare una discussione di prima mattina, dopo aver fatto colazione, ma non ho avuto modo di tirarmi indietro.
Chissà per quanto ancora sarebbe andata avanti se mi fossi imposto, se avessi detto «no, col cazzo, ora non si parla proprio di un cazzo» e fossi uscito di casa sbattendomi la porta alle spalle per rafforzare il concetto che quello non era affatto il momento esatto.
Chissà per quanto tempo ancora sarei andato avanti a programmare il momento esatto per prendere in mano la situazione, cioè per stringerla fino a farla esplodere.
Me lo chiedo spesso da quando alla fine è successo: quanto avrei resistito?
Per quanto tempo ancora mi sarei preso cura della mia verità tenendomela piantata tra lo stomaco e la gola?
I primi tempi non capivo se fosse stata una fortuna o una disgrazia mettersi a discutere della discussione che avevamo avuto qualche giorno prima, quella mattina.
Poi con il passare dei giorni mi sono convinto che è stata una vera fortuna, perché altrimenti a quest’ora sarei probabilmente ancora lì a costruire la mia strategia, senza però mai attuarla.
O forse no, perché se non fosse stato quel giorno, sarebbe stato un altro a sorprendermi. Un’altra discussione improvvisata grazie alla quale finisce per sciogliersi definitivamente il nodo.
«Era nell’aria», come si dice. E quando una cosa è nell’aria basta una minuscola folata di vento per alimentare un uragano che nel giro di pochi minuti distrugge ogni equilibrio.
«C’era da aspettarselo», è una delle prime cose che mi è stata detta dopo quel giorno.
«C’era da aspettarselo che sarebbe finita prima o poi.»
Ed è vero. C’era proprio da aspettarselo, che sarebbe finita, prima o poi.
Ma io non mi aspettavo che sarebbe finita in quel modo.
Non mi aspettavo che sarebbe stata così dura da superare.
Non mi aspettavo che mi sarei trovato ad attraversare tutto quello che ho attraversato.
Altrimenti, forse, sarei rimasto ancora un po’ a stare male.
Ma alla fine è successo.
Ed è questo l’importante.
Ciao Dario, gran bella Riflessione/Racconto… che dire, forse mi ha anche aiutato leggerla, dandomi la carica giusta per uscire da alcune “confort-Zone” che poi tanto confort non sono. Mancavi nel tuo Blog.. Buona Serata, GIUSEPPE.
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Questo mi pare proprio di per sé un racconto dei tuoi. Una autoconfessione forse, ma racchiusa in pensieri e frasi evocative più che descrittive, davvero un articolo da Blog di SeconDario.
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