DOMANI LE SCRIVO

Mi appoggio con la schiena alla vetrata del bar. Tiro fuori una sigaretta dal pacchetto schiacciato, me la metto tra le labbra, me l’accendo, me la fumo. Mi guardo intorno, mi faccio un giro tra le persone sparse in piedi, sedute ai tavoli, appoggiate alla ringhiera, appoggiate su sé stesse, appoggiate tra di loro, appoggiate alla mia stessa vetrata. Tre tipe alla mia sinistra mi guardano con insistenza. Non mi piace quando mi guardano da lontano. Mi volto, faccio finta di niente, torno dove mi trovo, butto fuori il fumo, mi inserisco nella conversazione dei miei amici come se fossi sempre stato lì. Davanti a me c’è una tipa che parla con un tipo. Credo sia quella che dobbiamo riportare a casa. Credo perché non me la ricordo. Do l’ultimo tiro, butto la sigaretta per terra, la pesto. Non è andata poi così male stasera. Sono venuto in questo posto per conoscere e bere, bere per conoscere. Sono venuto in questo posto per incontrare persone da conoscere che magari sono venute in questo posto per incontrare persone da conoscere, anche loro. Non ho conosciuto nessuno. Nemmeno in fila fuori, nemmeno in fila al bar, nemmeno in fila in bagno, nemmeno in fila e basta, perché alla fine sei sempre in fila nei posti dove vai per incontrare persone che magari cercano persone da conoscere, anche loro. Sono tutti sempre in fila per qualcosa. Devi sempre spingere per passare. Forse è così anche con le persone. Devi sempre spingere per incontrarne una da conoscere. Non è vera quella roba che si dice che arriva quando meno te l’aspetti, quando smetti di cercarla. Non è vera per un cazzo. Se stai fermo ad aspettare non arriva, devi andare, devi spingere, devi farti largo tra la folla per incontrare una persona da conoscere in mezzo a quella stessa folla. Che poi in realtà ormai ho lasciato perdere anche con ‘sto pensiero. Ho lasciato perdere ‘sto pensiero dopo aver capito che posso spingere quanto mi pare, posso sforzarmi quanto voglio di incontrare, ma chi mi dice che non stia andando dalla parte sbagliata? Chi mi dice che l’insistenza con cui te la vai a cercare ti garantisca di trovare quello che cerchi? Ma soprattutto, che cazzo cerco se non so cosa cercare? Forse non devi sempre spingere per passare, con le persone. Non è come in ‘sti posti, con le persone. Forse è vero che devi aspettare succeda, con le persone. Smettere di spingere a caso e aspettare sia il caso a spingere te. Non so, non so se crederci o meno. Forse mi fa solo comodo crederci a ‘sta stronzata. Ultimamente credo di averci creduto. Mi tranquillizza aspettare. Mi deresponsabilizza, mi tira fuori, mi convince del fatto che la causa del mio male non sia io, ma sia il fatto di non aver voluto aspettare, di non aver creduto abbastanza nel caso. Mi convince del fatto che non trovo bene perché voglio fottere il tempo, voglio accelerare il processo, voglio creare l’incontro per incontrare. Si possono creare gli incontri per incontrare? Forse è l’incontrare che crea l’incontro. Perché dai, non puoi incontrare veramente se cerchi l’incontro. Se cerchi l’incontro non incontri, al massimo inciampi in qualcuno. L’ultima volta ho sfondato la porta anziché girare la chiave. E infatti i risultati si sono visti. Sono stanco di forzare le cose, le serrature, le situazioni, le persone. Sono stanco di credere alla probabilità di incontrare qualcuno da conoscere davvero, intendo davvero, conoscere davvero, che esiste nei tentativi. Sono stanco di fare prove, ho provato abbastanza, è andata bene, è andata male, è andata così, è andata quasi, ora datemi la mia cazzo di parte. Ho provato abbastanza, ora datemi la mia cazzo di parte. Mi piacciono i tentativi però basta. Se è vera ‘sta storia che arriva quando smetti di cercarla allora basta. Ma quindi che cazzo devo fare, smettere di spingere o continuare a spingere? Smettere di cercare e iniziare a credere? Credere in che? Nel destino? Devo iniziare a credere nel destino per incontrare una persona da conoscere davvero? Devo iniziare a credere in qualcosa che sta sopra questi tavoli, questa vetrata, questa porta, questa fila? Posso anche farlo. Posso anche smettere di spingere alle serate quando bevo, o su Instagram quando sono troppo sobrio, per incontrare una persona da conoscere davvero. Secondo me comunque quella è la tipa che dobbiamo portare a casa. Fanculo non glielo dico io che dobbiamo andare, sta parlando con un tipo, non sono manco sicuro che sia lei. Prima era con noi ma non me la ricordo, non mi ricordo nemmeno se ci siamo presentati. Mi ricordo che è arrivata dopo, quindi probabilmente sì, ci siamo presentati. Però è come se non l’avessi vista, non me ne sono accorto. Come quando tiri fuori il cellulare per guardare che ore sono, lo rimetti via e due secondi dopo ti accorgi di non sapere che ore sono. A volte le cose ti scorrono davanti come le insegne dei negozi quando sei sull’autobus, con la fronte contro il vetro e la musica dentro la testa. Le vedi ma non le vedi. Le noti ma non le annoti. Però alla fine un po’ ti scivolano attraverso, senza che tu te ne accorga. Allora vale anche per le persone. ‘Sta tipa che dobbiamo portare a casa è un’insegna accesa che ho intravisto. Ci siamo presentati sì, le ho stretto la mano, questo me lo ricordo adesso. Non mi sono neanche alzato dalla sedia. È entrata in casa, ci siamo stretti la mano, io ero seduto, io stavo bevendo del vino, io stavo pensando che magari avrei incontrato delle persone da conoscere tra qualche ora. Sono quasi sicuro sia lei. Tiro fuori il cellulare dalla tasca dei jeans, trovo il suo numero, vado su Whatsapp, provo a scriverle ma la chiamo, questi sono i drink di prima, premo subito sul rosso per chiudere, la tipa davanti a me che parla con il tipo si muove come una a cui suona il telefono, chiudo. È lei, bene, era lei, bravo. Si guarda intorno, io mi guardo intorno per non incrociarla, per fare finta di non averla appena chiamata su Whatsapp che è una stronzata chiamarsi su Whatsapp, dai. Il mio amico le si avvicina per dirle che dobbiamo andare, lo seguo stando un po’ dietro, stando un po’ nel mio, stando un po’ in attesa, stando un po’ come uno che sta interrompendo un incontro tra due persone perché vuole andare a casa anche se non è poi così tardi. ‘Sta tipa guarda l’ora ma fa come se non le dispiacesse andare, anche se in realtà le dispiace, si vede di brutto, a me forse dispiace per lei, o forse no, chi cazzo la conosce, io voglio andare a casa ora. ‘Sta tipa mi dice che deve fare un giro dentro a salutare le altre, io dico che non posso fare altro che aspettare, tanto ormai ho aspettato tutta la sera, di bere, di andare in bagno, di incontrare qualcuno da conoscere. Ci sta che vada a salutare poi. Ci sono sempre delle “altre” o degli “altri” da salutare prima di andarsene. La tipa torna dentro a salutare le altre. Tiro fuori una sigaretta dal pacchetto, me la metto tra le labbra, me l’accendo, me la fumo. Mi guardo intorno, mi faccio un giro tra le persone sparse, sedute ai tavoli, appoggiate alla ringhiera, appoggiate su sé stesse, appoggiate tra di loro, appoggiate alla vetrata su cui ero appoggiato prima. Dico al mio amico che dobbiamo aspettare perché la tipa che dobbiamo portare a casa è andata a salutare le altre. Io parlo con la gente. Intanto parlo con la gente. Intanto parlo con la gente di stronzate perché va bene così. Fuori dai locali dove mettono la musica per far ballare le persone puoi soltanto parlare di stronzate. Cioè, puoi anche dire cose intelligenti, ma saranno sempre travestite da stronzate. Alla fine non è andata male stasera. Volevo incontrare qualcuno da conoscere, ma ho solo bevuto abbastanza. Ho riso bene, ho cantato male, ho parlato forte, ho urlato piano, ho quasi incrociato, ho schiavato con le spalle, ho salutato veloce, ho chiesto permesso, ho fatto la fila, ho intravisto una, ho chiesto scusa, ho perso di vista per qualche minuto, ho alzato le mani verso il soffitto quando l’ha detto il tipo che parla al microfono e l’ho fatto per sentirmi adatto. Le cose succedono o devi farle succedere? Forse entrambe le cose insieme. Forse devi farle succedere perché succedano. Forse devi aspettare che arrivi mentre cerchi che qualcosa che arrivi. Forse devi spingere per farti spingere. Forse è così. O forse è ancora soltanto una questione di probabilità, come tutto. Più vai verso, più hai probabilità che venga verso. Anche se non sai verso cosa stai andando di preciso. Anche se sai soltanto di dover andare verso, verso non si sa che, verso non si sa chi. Tu vai verso. Vai verso le cose che potrebbero succedere. Vai verso le cose che forse cerchi. Fatti sorprendere a cercare mentre credi non basti soltanto quello. Vai nel caos, vai nel caso. La tipa che dobbiamo portare a casa torna, mi dice che deve andare in bagno, io penso che avrebbe potuto andarci dopo aver salutato le altre, prima di tornare qui. Però me lo dice bene, quindi io aspetto. Io aspetto perché voglio, perché devo, perché me l’ha detto bene, perché ho una scusa per restare qualche altro minuto. Dico al mio amico di aspettare con me ancora perché la tipa che dobbiamo portare a casa deve andare in bagno. Tiro fuori una sigaretta dal pacchetto, me la metto tra le labbra, me l’accendo, me la fumo. Mi guardo intorno, parlo intorno, giro intorno, rido intorno perché fuori dai locali dove mettono la musica per far ballare le persone c’è sempre qualcosa su cui ridere, di cui ridere, per cui ridere. Ci spostiamo verso un tavolo di plastica vuoto, coperto di bicchieri vuoti, impregnato di discorsi vuoti dei tipi che si sono appena alzati. Uno ha il rosario bianco che spicca sopra alla canottiera nera, la parola resilienza tatuata sull’avambraccio, la faccia di uno che vuole scopare sempre, e io che sono spesso vittima di pregiudizi stupidi, lo ammetto, non posso evitare di pensare a quanto siano vuoti gli argomenti che ha appena affrontato seduto a questo tavolo. Anche se comunque siamo fuori da un locale dove mettono la musica per far ballare le persone, quindi vale tutto, sono il primo a dirlo, il primo a rendere vera questa regola. Mi siedo su una sedia blu con il logo dell’Algida sullo schienale, sposto qualche bicchiere, appoggio le sigarette, il portafoglio, il cellulare, la voglia di andarmene e le chiavi di casa sul tavolo. Tengo il tempo della musica che arriva dall’interno del locale colpendo la sedia con l’accendino, forse disturbando chi mi sta vicino. Mi volto, la tipa che dobbiamo riportare a casa è dove eravamo noi poco fa, in piedi con il cellulare in mano, sta scrivendo qualcosa. Nel momento in cui la guardo, mi guarda e viene verso di noi. Mi dice di esserci, e me lo dice bene. Ci ha messo meno del previsto, forse non ci è nemmeno andata in bagno. Boh, non m’interessa. Raccolgo le mie cose dal tavolo, me le rimetto in tasca, lo stesso fa il mio amico. Gli altri rimangono ancora un po’ lì. Do la mano a tutti in modo manifesto, perché fuori dai locali dove mettono la musica per far ballare le persone darsi la mano per salutarsi in modo manifesto è obbligatorio. Bisogna sottolineare che ci si conosce, il più possibile. Bisogna mettere in evidenza le relazioni, che siano amori improvvisati, amicizie dimenticate, conoscenze utili. Vale per chi limona pesantemente sui divanetti, che ci tiene proprio a farlo lì, affinché tutti possano intromettersi e invidiare il loro essersi rimorchiati, cosa che anche tu cercavi di fare, che anche io alla fine cercavo di fare, che più o meno tutti cerchiamo continuamente di fare. E vale anche per chi si abbraccia di continuo tra la gente. Nei locali dove mettono la musica per far ballare le persone ogni gesto che indica una relazione tra le persone diventa eclatante, ridondante, volgare. La tipa che dobbiamo riportare a casa mi ringrazia per averla aspettata ben due volte senza essercene andati. E anche stavolta, lo fa bene. Non so nemmeno cosa significhi, so soltanto che continua a far suonare bene, meglio del previsto, frasi tutto sommato normali. Comunque è visibilmente ubriaca. Di quelle ubriacature che si vedono ma non pesano, nel senso che ti fanno oscillare leggermente, ma mai barcollare, mai rischiare di inciampare, di quelle che ti rendono estroverso ma non vulnerabile. Così è come la vedo io adesso. Facciamo qualche passo verso il parcheggio e la tipa che dobbiamo riportare a casa mi si aggrappa al braccio destro, poi inizia a farmi domande sul mio amico che deve guidare, alle quali risponde direttamente lui. Procediamo verso la macchina, passando attraverso un parco dove la gente sta seduta a smaltire l’alcol con le braccia appoggiate alle ginocchia. La tipa non mi lascia andare, mi chiede se preferisco l’alba o il tramonto, mi ripete ancora che siamo stati gentili ad aspettarla, mi dice che studia psicologia perché non è mai riuscita a capire le persone e un giorno sogna davvero di farcela, infatti per il momento non mi capisce, perché guardo sempre da un’altra parte e sembro uno che “si diverte solo dentro”, dice. Forse un giorno tornerò da lei per farmi capire, se c’avrò voglia. Per ora voglio solo andare a casa. Apro lo sportello, mi siedo davanti, la tipa che dobbiamo riportare a casa si siede dietro, si mette al centro, sporgendosi in avanti con la testa. Abita a dieci minuti di macchina da qui, che a quest’ora diventano cinque, perché i semafori arancioni lampeggiano. Il mio amico guida, lei gli dice dove voltare, io guardo fuori dal finestrino le macchine parcheggiate e i negozi chiusi, intervenendo solo ogni tanto, così, solo perché dire delle cose ogni tanto non mi costa nulla. Intanto ascolto, intanto la ascolto, intanto ho la sensazione di accorgermi di qualcosa che la riguarda, ma non so di preciso cosa. Non ho tempo per capire, e siamo già davanti a casa sua. Il mio amico si ferma sulla destra, di fianco ai bidoni della spazzatura, la tipa scivola sui sedili dietro, apre lo sportello e scende. Non so perché ma scendo anch’io, di riflesso, d’istinto, di mia completa e superflua iniziativa. Non ho tempo per capire. Vado verso la tipa, la saluto chiamandola per nome, per la prima volta, con due di quei baci sulla guancia che non sono veramente baci sulla guancia. Lei mi ringrazia ancora per averla aspettata ben due volte senza essercene andati, per l’ultima volta. Si volta, se ne va, apre il cancello, mi volto, apro lo sportello, mi siedo, lei entra, il mio amico riparte. Domani le scrivo.

37 commenti

  1. Incredibile come riesci a farmi immergere in ogni testo, come se fossi li, insieme ai personaggi, nella loro testa.Sei stato incredibile come sempre eppure riesci a far vivere ogni lettura in modo diverso…in ogni caso…e leggere i tuoi racconti riesce sempre a ispirarmi…Grazie mille…davvero

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  2. Mentre leggevo, seduta sul divano, con il telefono in mano, e il ventilatore che soffiava invano; mi chiedevo perché tu sia così insicuro delle scelte che fai, perché ti fai troppe domande, perché dilati così tanto i discorsi, perché rifletti così tanto. Ma poi mi ricordo che tu sei Dario Matassa, e dopo tutto torna.

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  3. Oscillo tra la sensazione ciò non sia accaduto davvero e tra la speranza invece lo sia, e che anche quella parte romanzata- o magari non lo è- sulla richiesta di preferenza tra alba o tramonto sia vera. Non sarebbe il perfetto inizio di un irrealistica storia d’amore? Ciò che mi porta a scrivere questo commento così confusionario probabilmente sarà la mia fobia sociale verso qualunque rapporto d’amore intenso, anche se contraddittoriamente credo nella serendipità, così per legarmi al tuo tema di inizio sullo spingere o attendere. Ad ogni modo, sto divorando i tuoi scritti e ho già capito che sei quel tipo di persona con la quale intratterei lunghe discussioni e anche dibattiti, anche su uno di quegli argomenti da bar importanti ma esposti sotto forma di stronzata. Mi sono permessa di darti del tu perché fondamentalmente credo non ci sia più profonda intimità del leggere i pensieri altrui e sviluppare un legame con un perfetto sconosciuto poi, anche se questo non è ricambiato, ma se mai risponderai sappi che puoi fare lo stesso.
    -R.G.

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  4. L’ho letto due volte. Dopo la prima ho pensato che sarebbe stato meglio rileggerlo. Sentivo che mi ero persa qualcosa, dei dettagli, che non sono mai insignificanti.
    Mentre leggevo nella mia testa si è creato un film. È stato un bel film. Grazie per le tue parole. Grazie per la tua scrittura.

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  5. E la fortuna, che ruolo ha? Quando hai aspettato e non hai trovato, quando hai deciso di cercare ma comunque non hai trovato, pensare alla fortuna è solo percorrere la via facile, aggrapparsi a qualcosa che in realtà non conta (o non esiste) per convincersi che non è colpa di nessuno? O può contare veramente qualcosa?

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  6. Leggo i tuoi pezzi tutti così velocemente, d’un fiato.
    Sono talmente curiosa di sapere il finale che avvolte procedo saltando piccoli particolari, altre qualche riga o addirittura interi passaggi.
    Poi alla fine arriva il fatilico  momento che non capisco un cazzo.
    E sono lo stesso felice. Sto bene.  Così attacco della buona musica ed è fatta. È come se la mia mente decide che il “rifarmi leggere il tutto” tra note a caso sia una specie di soddisfazione. Fissare i dettagli in seconda, nella testa, e via di film.  La scena finale riletta è qualcosa di magico. Complimenti.

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  7. Wow, come sempre. Chissà se tutto questo è successo davvero, spero vivamente di sì.
    Che poi Dario, tu riesci sempre a smuovere qualcosa dentro di me, quando leggo ciò che scrivi. Fai riflettere, anche sulle cose più banali, e al giorno d’oggi, quando la gente non riflette più, è un bene. Mi fai mettere in dubbio ogni mia certezza, e questo, ti giuro, mi piace da impazzire. Riesco a percepire l’ansia e la confusione, già dalle prime righe, che mi spingono a leggere fino alla fine tutto d’un fiato, senza riuscire a staccarmi dallo schermo. Scrivi davvero bene, amo il tuo stile, le tue frasi coincise ma ad effetto.
    Credo che tu sia una di quelle persone con cui potresti stare a parlare di cose serie per delle ore, senza mai stancarti.
    E nulla, aspetto con ansia il tuo libro.
    Sii libero.

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  8. Leggo sempre con interesse i tuoi racconti, ma non mi ci sono mai imnedesimata fino in fondo. Non so, li ho sempre percepiti come distaccati da me, interessanti ma comunque lontani. Come delle storie raccontate da qualcun’altro, in cui, a volte, più o meno vagamente, trovavo delle sensazioni che avevo vissuto anche io.
    Questa volta, invece, mi sembrava che qualcuno stesse descrivendo la MIA di interiorità, le stesse sensazioni, gli stessi dubbi e, ti giuro, addirittura le stesse parole che avrei usato io per descrivere tutto. È stato bello.

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  9. Ho sentito la musica, il cuore pulsare, l’accendino che teneva il ritmo sopra il tavolo di plastica. Tutto era scandito da sensazioni quotidiane, cui non facciamo caso. Sarebbe bello crearne un corto, girare quelle scene col fiato sospeso, sentirle ansimare, davvero grazie.

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  10. Wow. Ho i brividi.
    Ciò che hai scritto è ciò che mi tormenta da anni.
    Bisogna cercare? Bisogna attendere? Ancora non l’ho capito ma continuo a sperare che non dipenda solo da me, che non sono io a sbagliare sempre qualcosa. Mi sei entrato dentro.

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  11. Aver trovato qualcuno come me, che ha il bisogno impellente di scrivere, mi consola e rallegra allo stesso tempo.
    Ogni volta che leggo un tuo scritto ho le farfalle allo stomaco, una strana agitazione, forse perché so che mi riguarda. E anche oggi hai fatto centro.
    Leggere quello che scrivi mi permette di riflettere e scrivere a mia volta.
    Quindi, Dario, ti ringrazio di cuore. 💜

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  12. La penna dello sceneggiatore si vede tutta, descrivi con attenzione ogni piccolo dettaglio perché forse è su quelli che vuoi focalizzare l’attenzione nascondendo apparentemente l’umano, l’emozione. Ma non sei tu a metterli da parte è la realtà di cui la tua storia parla a farlo, una realtà che si mostra non mostrandosi.
    È un labirinto perfetto, leggendo ci si perde in esso, ricercando qualcosa che però non arriva o almeno non è arrivata a me, in alcuni punti sembra quasi presentarsi ma poi è come se ti rendessi conto che ti sei scoperto troppo e la rinchiudi di nuovo dentro di te. Falla esplodere questa emozione, non soffocarla, non lasciarla chiusa nel labirinto di parole ma permetti che essa si manifesti attraverso di esse. Devi legare al filo che unisce penna,inchiostro e foglio bianco un altro elemento: te stesso. Altrimenti le tue bellissime parole resteranno solo inchiostro su un foglio bianco.

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  13. Ho scoperto i tuoi testi da poco, sono sincera, ma ne sono rimasta piacevolmente colpita. Mi ritrovo ora, a l’1:47 di notte, a leggere tutti i tuoi testi. Uno per uno, parola per parola. Come è possibile che mi senta più vicina a te? Leggendo semplicemente i tuoi pensieri, i tuoi racconti. Ed ora direi che è arrivato il momento di andare a letto, cullata da una bella sensazione.

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  14. Come ci si sente a vivere secondo costumi altrui, leggi non scritte delle discoteche/locali, usi sociali comuni, che se non utilizzi sei il diverso, e allora tanto vale confondersi con la massa.
    Ma è come esistere attraverso la nebbia della bassa, sagome sfumate di persone, che ne vedi la presenza ma non i confini.
    Tu Dario mi dai queste sensazioni, con le tue parole è come se mettessi a tutti i tuoi lettori degli ipotetici occhiali da vista, con le lenti che all’interno contengono il tuo filtro personale.

    Domani scrivile, perché anche se cadi 7 volte, ti puoi sempre rialzare l’ottava (proverbio nipponico).

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  15. Mi piace molto come scrivi. Mi fai entrare nella mia testa, nel senso che leggendo i tuoi testi inizio a fare riflessioni personali su cose che non avevo mai realmente considerato, o che ho voluto consapevolmente non considerare, con estrema facilità.
    Grazie, continua a scrivere sei veramente bravo.

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  16. È la prima volta che finisco sul tuo sito. Ho letto qualcosa e anche qualche commento. Chissà se sei il tipo al quale le analisi dei tuoi lettori piacciono. O magari le trovi un tentativo superficiale e poco ragionato di conquistare la tua simpatia.
    Anche a me piace scrivere, credo che tirare fuori le sensazioni e imprigionarle su carta faccia stare bene tutte le persone sensibili…eppure, anche chi ti legge e condivide e ti fa i complimenti…si limita ad apprezzare senza capire davvero. Si limita a ipotizzare e a costruire immagini di fantasia su parole reali, senza indagare davvero. E ancora una volta non so la tua opinione in merito, ma se da una parte il bello dei testi è ciò che in ognuno di noi scatenano, quindi milioni di differenti e personalissime interpretazioni (compito a mio avviso più adatto ai romanzi), dall’ altra parte QUESTO tipo di testi dovrebbe farci sorgere un interesse per il passaggio immediatamente precedente alla stesura…ovvero l’ autore e le sue idee, le sue teorie e come queste trovino sfogo tramite le parole e come mai proprio in QUESTE parole. Chissà se sei uno che vuol solo regalare testi e continuare la sua strada, o se sei uno al quale piacerebbe essere “smascherato e sviscerato” da qualcuno capace di risalire le parole senza aggiungerci niente. Solo ripercorrendo il testo al contrario ed arrivando davvero a te.

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  17. È la prima volta che mi trovo a leggere il tuo blog. La mia curiosità mi ha spinta a cliccare sul link e seguirlo fin qui. Che dire… Sono talmente abituata a sentirvi ridere e dire cose assurde ma estremamente efficaci, che non mi aspettavo probabilmente qualcosa di così diverso dall’ordinario. Eppure eccolo qua, parola dopo parola, un breve racconto di un pezzetto di vita, una vita che potrebbe essere la tua così come la mia, così come quella di altre migliaia di persone. La sola differenza tra te e loro è che tu hai estrapolato un frammento di tempo di una vita come tante, le hai dato una forma, un colore, un sapore, poi ne hai fatto un testo, breve, rapido, scandito da ripetizioni che nero su bianco ti fanno storcere il naso, ma rispecchiano esattamente la realtà. La vita è un continuo ripetersi di azioni, sempre uguali, una dietro all’altra, senza sosta. Mi è piaciuto, sarà che casualmente sono capitata sul racconto che più rispecchia il momento che sto vivendo, in cui mi sento in “dovere” di uscire e far accadere quell’incontro, quella situazione… Ma al tempo stesso mi continuo a dire che quando sarà il momento avverrà tutto ciò che deve avvenire. Continuerò a leggere ciò che hai scritto, ciò che hai deciso di condividere. Perché mi sono trovata bene ad osservare la realtà attraverso gli occhi di qualcuno al di fuori di me.

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  18. L’attesa di conoscere e di essere conosciuti. L’essere spinto o spingere nel conoscere qualcuno senza sapere cosa si cerca. Sono sempre nell’attesa che, in una serata come quella che tu descrivi e che noi tutti viviamo, qualcuno io possa conoscerlo davvero e che possa veramente riempire quel vuoto mio , dei bicchieri, dei discorsi, della musica anche se solo per una sera.la conoscenza in un posto così anonimo, brutto proprio per quel tavolino o divano buttato lì senza alcun gusto, vestirà quel luogo di una bellezza che prima non aveva, una bellezza tua, tua soltanto che è la bellezza del ricordo, sia che essa sia stata una conoscenza fugace, sia qualcosa di più. E allora un segno di quella serata,Che sembrava come tante altre, te la riporti a casa, e quando ritornerai su quel locale chissà ripensandoci la cosa ti susciterà un giorno un sorriso, un giorno la malinconia, o magari faticherai a ricordarla ma senti anche solo per un momento che sei vivo, che qualcosa hai vissuto perché il vivere è fatto anche di quello scoprire l’altro e di scoprirsi che è la vera magia dell’incontro

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