LORO

Non capivano se tutto avesse preso improvvisamente senso o se l’avesse improvvisamente perso. Non capivano se le persone che camminavano intorno a loro fossero improvvisamente diventate un insieme dentro cui confondersi o una gabbia dalla quale evadere. Non capivano se i portici sotto ai palazzi si fossero improvvisamente trasformati nel tetto più libero o nel soffitto più soffocante. Non capivano se le luci sopra alla strada, sopra ai balconi, sopra di loro, fossero improvvisamente diventate il modo giusto per guardarsi o quello sbagliato. Non capivano se quel tipo seduto per terra con la chitarra e con il cane fosse improvvisamente diventato il sottofondo più adatto o quello più fastidioso. Non capivano più, dopo essersi alzati da quel tavolo del bar, quello che dà sulla piazza più grande, quello dove si vede la gente passare, quello con le lampade arancioni che bruciano sui vestiti, quello con il menù scritto in corsivo, quello dove trovare posto è complicato ma non impossibile. I tavoli rotondi sono tutti attaccati l’uno all’altro, separati solo da qualche centimetro di vuoto, sedersi chiede l’attenzione e la complicità dei vicini. I camerieri ci hanno fatto l’abitudine, sono sempre gli stessi dalla prima volta, non cambiano mai. Nessuno arriva e nessuno se ne va. Non dev’essere facile imparare a muoversi in quegli spazi minuscoli, con le cose da bere in una mano e le cose da mangiare nell’altra, senza chiedere continuamente ai clienti di spostarsi, senza urtare nessuno, senza rovesciare niente, senza farsi troppo notare perché non è un posto dove i camerieri devono farsi notare, anzi. Lei era mezza ubriaca, quel tanto che basta per confondere la realtà e inciampare ripetutamente nelle proprie frasi. Lui era ubriaco e basta, quel tanto che basta per essere ubriaco e basta, anche se da fuori non sembrava. Non se ne sarebbe mai accorto nessuno da fuori, così come nessuno si sarebbe mai accorto di cosa fossero loro quella sera, da fuori. Hanno passato almeno tre ore seduti a capirsi a quel tavolo prima di alzarsi. Più che parlarsi si sono mescolati, come due ingredienti diversi nello stesso piatto, come due storie nello stesso libro, come due idee simili che diventano un concetto unico. Facevano piani, facevano piano. Due calici di vino rosso e subito dopo una bottiglia intera, meno buona del previsto, ma andava bene lo stesso. Andava bene lo stesso perché loro andavano bene lo stesso. Andavano bene nonostante il freddo umido che trapassava i vestiti, la coppia che parlava di Labrador ad alta voce, la macchina parcheggiata nel posto delle moto, una lunga serie di scelte in sospeso e il tempo a disposizione. Il tempo a disposizione non era tanto e non avrebbero potuto comprarne un pacchetto da nessuna parte. Le sigarette sì, al primo distributore automatico, quello vicino alla fontana rotta, dove c’è sempre il tizio che vende collane, ma il tempo a disposizione no. Non esistono distributori automatici di tempo a disposizione. Non esistono negozi, centri commerciali, siti con la consegna gratuita con spesa superiore a cinquanta euro dove è possibile comprarlo. Non esistono nemmeno spacciatori in grado di procurartelo tagliato male, con i minuti di cinquanta secondi, le ore chimiche che grattano la gola. Il tempo a loro disposizione era l’unica cosa che sarebbe potuta finire quella sera, l’unico argine, l’unico recinto. Tutto il resto no. Tutto il resto era un fiume in piena. Tutto il resto era campo coltivabile. Tutto il resto era un misto confuso d’infinito. Camminavano sospesi senza sapere da che parte andare, fluttuavano sulle strisce pedonali sbiadite, oscillavano sulla melodia dei propri discorsi indecifrabili, s’incrociavano lungo le linee invisibili dei propri sospiri. Non era più città quella in cui si muovevano, non era più mondo quello che li circondava, non era più aria quella che respiravano, non erano più persone quelle che gli scivolano affianco. Non era più la solita vita, la solita via. Era un senso sconfinato di lucida assurdità. Era uno spazio profondamente piatto, un luogo sorprendentemente noto. E non capivano più nulla di quello che fino alla mattina stessa sembrava facile. I taxi con le doppie frecce fermi sopra al marciapiede, il cartone di pizza sul bidone, il rumore di piatti nelle cucine dei ristoranti, il semaforo che non diventa mai verde, il cane che aspetta fuori, i gruppi su whatsapp, le storie su Instagram, i gratta e vinci per terra, i parcheggi a pagamento pieni pure quelli, gli adesivi sui pali della luce, l’amore scritto sui muri, la politica scritta sui muri, i selfie con le guance che si toccano, i bicchieri di plastica sparsi in giro, la polizia che passeggia, la sala fumatori, gli amici, gli amanti, gli amati, gli integrati, i disintegrati, i tossici, le suore, i turisti che mangiano, i militari col fucile, la voglia di estero, la voglia di nuovo, la voglia di scuse, la vita. Non capivano più la vita, quella che avevano sempre visto e vissuto. Non capivano se tutto esistesse o se tutto scomparisse, attraverso di loro. L’asfalto era mare, era amare. I gradini erano onde tiepide da cavalcare, sollevandosi leggeri. Loro non esistevano, loro consistevano, coesistevano. Si sfioravano le braccia, si sfioravano la faccia, si strappavano la pelle a morsi di parole, si urlavano addosso entrandosi negli occhi, si ridevano contro trapiantandosi i pensieri, si accompagnavano veloci e si scontravano lenti. Loro non andavano da nessuna parte, erano ovunque. Nei tronchi caduti, nei rami spezzati, negli angoli sperduti, nei locali affollati. Si stringevano fino a strozzarsi nello stringersi dei vicoli, si espandevano fino a deformarsi nello spalancarsi del cielo. Non si tenevano per mano, si tenevano per loro. Loro erano tutto ciò che li riguardasse. Poi il tempo a loro disposizione finì. Loro senza le ore erano solo qualunque altra cosa. E come qualunque altra cosa, scomparvero.

38 commenti

  1. Le tue riflessioni, i tuoi racconti, vanno letti ad alta voce. Più di una volta. Bisogna immmaginarsi la scena. Solo così si capisce veramente quello che scrivi. Solo così si capisce veramente quello che vuoi dire.

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  2. Come al solito ci stupisci facendoci vedere la parte di Dario che a noi sembra sconosciuta… grazie delle emozioni che ci hai fatto provare grazie di tutto♥️💫(blog_its_ale)

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  3. Veramente bello,mentre leggevo mi si “aprivano” delle immagini nella testa, facendomi scordare per un’attimo l’intensità di questo racconto(?) che alla fine mi ha ricordato quanto il tempo sia importante e quanto poco io lo valorizzi.

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  4. Brividi.. quello che si riesce ad esprimere con un testo non si esprime con le parole, con i gesti, con gli occhi. Trasmettere emozioni è difficile ma tu ci riesci così bene che quasi sembra di essere li nei tuoi pensieri mentre scrivi queste parole. 💢

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  5. L’amore ed il condividere il proprio tempo con qualcuno di speciale non sono cose di cui sono molto pratico, quindi non ho molto da dire stavolta. Durante tutto il racconto mi sono immaginato le scene e i personaggi descritti, così per immergermi di più, e il modo in cui tutto è descritto minuziosamente mi ha aiutato. Di sicuro io di tempo ne avrei bisogno, questo è sicuro. Più tempo e più giudizio, perché per la fretta a volte viene a mancare anche quello

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  6. Tu sai smuovermi qualcosa dentro. Mentre leggo le tue parole ho continui flash di esperienze vissute, desiderate o rimpiante. Grazie per aver condiviso con noi “Loro”.

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  7. È bellissimo, devo ammettere che non ho mai letto niente di tuo, ma questo racconto, questa poesia ,questo qualsiasi cosa tu voglia mi ha fatto bene, mi ha fatto fermare e pensare ed è stato mozzafiato quindi grazie.

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  8. Dario, questa volta più di altre sei riuscito a farmi trattenere il fiato. Forse per l’argomento che mi risveglia una fiammella assopita, aiutato da un piano malinconico che ho come sottofondo ora. Sei davvero bravo, hai fatto delle associazioni di parole che trovo davvero sublimi, squisite e dolcissime.

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  9. Il racconto è stupendo e il modo in cui è scritto permette a chiunque di entrarci dentro, anche chi magari quelle sensazioni non le ha provate. È curioso il modo in cui utilizzi le parole, molte volte mi sono fermata a pensare all’effetto scenico di alcuni giochi di parole e al loro reale significato e, sebbene qualche volta a mio parere il primo aspetto abbia avuto la meglio, si tratta ad ogni modo di uno stile che rimane impresso

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  10. Non capisco come tu riesca a trascrivere perfettamente quello che provo, quello che proviamo tutti, ma che non riusciamo a riferire mai, perché non ne siamo in grado. Le tue parole fanno breccia dentro di me, ogni volta, anche se le ho rilette ormai centinaia di volte. È sempre fantastico leggere questi capolavori, a fine giornata, nel letto, con i pensieri che ancora girano in testa, anche se per la centesima volta…. sono ogni volta stupita

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  11. Avevo già letto questo tuo racconto, e l’ho riletto ora per la seconda volta. Ho deciso di lasciare un commento per dirti che ora che l’ho letto, vorrei piangere. Non so se sia positivo o negativo questo, per te. Volevo solo che lo sapessi.

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