Sono stato a cena in un ristorante. Sei tavoli, poche persone, molto silenzio e un solo cameriere di una gentilezza quasi imbarazzante. Ad un certo punto è entrato un uomo sicuramente poco sobrio che ha chiesto un euro a quelli nel tavolo di fianco alla porta d’ingresso. Non gli hanno risposto. Poi si è messo di fronte alla cassa, poco lontano dai tavoli, in attesa. Il cameriere di una gentilezza quasi imbarazzante è uscito dalla porta della cucina, subito dietro la cassa, ha visto l’uomo, lo ha salutato come un qualsiasi cliente sapendo che non lo era, e gli ha domandato cosa volesse. L’uomo sicuramente poco sobrio ha chiesto un bicchiere d’acqua. Il cameriere di una gentilezza quasi imbarazzante gli ha domandato se la volesse frizzante o naturale. La voleva naturale. Dopo aver bevuto alla goccia e in silenzio il bicchiere d’acqua, l’uomo si è messo a fissare il cameriere di una gentilezza quasi imbarazzante, per poi chiedergli un euro. Il cameriere di una gentilezza quasi imbarazzante ha risposto con un semplice “Sì” e gliel’ha dato. A quel punto l’uomo sicuramente poco sobrio si è diretto verso l’uscita, ha salutato, poi molto lentamente è andato fuori. Tutto è tornato normale. Ecco, io non so se l’uomo sicuramente poco sobrio si meritasse o meno quel bicchiere d’acqua naturale e quell’euro. So soltanto che assistere ad un risolversi così sereno di una scena potenzialmente problematica mi ha fatto venire in mente una cosa. Certe volte le tensioni ce le andiamo a cercare, quando potremmo tranquillamente fare finta che vada tutto bene. Fare finta che vada tutto bene non significa piegarsi a chi, o cosa, ci infastidisce per evitare complicazioni. Significa tollerare. Mettere da parte il principio, l’assioma, la regola, la morale, il ciò che dovrebbe essere giusto fare per lasciare spazio al ciò che è giusto fare ora. Tollerare vuol dire anche andare contro la consuetudine, per muoversi verso un compromesso. Tollerare in fondo è accettare un compromesso. Una cosa che spesso rifiutiamo a priori, perché dicono sia roba da deboli, perché alla parola compromesso accostiamo per prassi la parola scendere, dunque abbassare il livello, andare giù, allentare la nostra presa. E se invece si parlasse di salire? Salire a un compromesso. Quanto ci suona male in testa. Salire a un compromesso, fare il possibile per andare incontro alle esigenze della situazione pratica, del qui e ora, dove ogni preconcetto lascia il tempo che trova, sforzandosi di salire sopra i propri limiti (che poi sono fatti di orgoglio), scavalcando l’amor proprio. Salire sopra di sé per non salire sopra all’altro. Semplificare le cose, chiedendosi meno. Tollerare è accettare un compromesso. E accettare un compromesso è farsi bastare il pareggio. Ma noi siamo educati da vincenti, nella gara a chi è più stronzo non ci tiriamo certo indietro. Vogliamo primeggiare, non pareggiare. Vogliamo imporci, non scendere a un compromesso. E allora saliamo, se non vogliamo scendere. Saliamo a un compromesso. A volte le frasi che ci abituiamo a sentire, gli accostamenti di parole automatici che abbiamo in testa, finiscono per alterare il nostro reale punto di vista. “Il compromesso porta ad appianare le differenze e viene raggiunto attraverso la mutua rettifica delle reciproche richieste, concedendo un po’ a ciascuna delle parti” dice Wikipedia. Se questo è uno scendere, probabilmente ci stiamo sbagliando di grosso. Ci vorrebbero più camerieri di una gentilezza quasi imbarazzante.
Dovremmo imparare ad essere di una gentilezza imbarazzante. Anche se a dire la verità, oggi la gentilezza è diventata, per così dire, imbarazzante. Un buonasera è imbarazzante; un grazie è imbarazzante.
Mi è capitato personalmente di essere guardata come un miraggio solo per aver aiutato un signore a raccogliere le monete e dei fogli cadutigli per terra, un gesto così semplice visto come qualcosa di così strano e anormale.
Perché? Non lo so,
Forse perché siamo troppo immersi in noi stessi, forse per il capo sempre rivolto verso i nostri piedi mentre camminiamo, che riesce a farci evitare il contatto visivo, quel contatto che ci obbligherebbe ad essere di una gentilezza imbarazzante.
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Ogni tuo scritto, mi apre la mente, complimenti!
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Veramente bellissimo. Grande sensibilità.
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Ilario sei un genio. Ahhaha
No comunque seriamente sei davvero bravo.
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Non cedere a compromessi è da deboli
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‘Scendere a un compromesso’ perchè è cedere e concedere. È rinunciare a qualcosa di nostro. È, appunto, compromettersi per non compromettere qualcosa che va oltre noi stessi. Poi sì, Gervaso direbbe che scendere a compromessi è un modo come un altro per salire.
Io credo che dire ‘salire a un compromesso’ tolga apparentemente importanza alla parte di noi alla quale rinunciamo per questo “bene superiore”, più o meno immediato, pratico o importante (‘scendere’ ne sottolinea invece, banalmente meglio, la perdita), ma allo stesso tempo credo anche che la faccia risaltare con questo “effetto ossimoro”, quasi fosse una velata provocazione che se fosse esplicita suonerebbe come ‘la ricompensa per chi non scende a compromessi è un’ulcera peptica’, provocazione che però viene probabilmente colta solo da noi di una gentilezza quasi imbarazzante. L’ossimoro non viene compreso, in pochi sanno ancora essere di una gentilezza quasi imbarazzante, in pochi sanno ancora vedere oltre loro stessi, la superficialità la fa da padrona, ci si limita alla prima parte, alla privazione e, per egoismo, vittimismo, ignoranza, orgoglio o menefreghismo che sia, che si tolga importanza a qualcosa di proprio non piace.
Dire ‘salire a un compromesso’ sarebbe già un salire (o, per l’italiano medio, uno scendere) a un compromesso.
Personalmente lo trovo un modo di dire di una gentilezza quasi imbarazzante.
PS.Fammi sapere se sono riuscita a non essere confusionaria e sconclusionata nel mio parere non richiesto, a volte non mi sto dietro nemmeno io.
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